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Barometro della privacy 2020: aumenta il divario tra i brand in materia di conformità al GDPR

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Nonostante l’aumento generale del tasso di consenso esplicito, numerose imprese accusano ancora un ritardo importante in materia di conformità al GDPR.

Parigi, 4 giugno 2020 –  Commanders Act, azienda leader a livello europeo nel settore CDP (Customer Data Platform) in modalità SaaS, presenta il suo Barometro della privacy 2020, che misura le performance dei dispositivi di raccolta del consenso rigorosamente esplicito introdotti per il GDPR (Regolamento generale sulla protezione dei dati). A pochi mesi dalla fine del periodo di transizione che la CNIL ha concesso alle imprese affinché si mettano in regola, il Barometro della privacy 2020 consente di fare il punto della situazione attuale in materia di raccolta del consenso, ed evidenziare alcune tendenze relative all’approccio scelto dalle imprese nei confronti della questione.

Per la realizzazione di questo barometro, Commanders Act si è basata sui dati relativi al comportamento di 13 milioni di utenti di siti che implementano la sua piattaforma di gestione del consenso (CMP) TrustCommander, raccolti tra il 2 e il 15 marzo 2020. Contrariamente alle edizioni precedenti, quest’anno il Barometro della privacy si concentra sui meccanismi di opt-in esplicito, ossia quei meccanismi che richiedono l’espressione diretta del consenso (ad esempio un pulsante “Accetta”).

 Un cambio di atteggiamento notevole da parte dei brand

Questa nuova edizione del Barometro della privacy mostra innanzitutto un aumento del tasso di consenso rigido: il 53% degli utenti dei siti analizzati ha acconsentito esplicitamente alla raccolta e al trattamento dei propri dati, rispetto al 37% del 2019.

Questo incremento si spiega in parte con un cambio di atteggiamento da parte di alcuni brand, che cercano oggi di ottimizzare i loro dispositivi di raccolta del consenso per migliorare il tasso di opt-in. “Fino a poco tempo fa, la maggior parte delle imprese si limitava ad attuare le misure minime richieste dalla CNIL. In questi ultimi mesi, si ha l’impressione che molti abbiano condotto una riflessione più approfondita, soprattutto per quanto riguarda il formato e il design, per trovare il meccanismo in grado di favorire l’opt-in” spiega Michael Froment, CEO e cofondatore di Commanders Act. Sono sempre di più i brand che ricorrono ai test A/B, in cui mettono a confronto diversi formati e design per stabilire quello che registra il tasso di consenso maggiore.

Così, il 68% dei siti privilegia oggi il formato pop-in, che mostra un tasso di opt-in superiore rispetto agli altri formati, sia su dispositivo mobile che su desktop. In modo analogo, la visualizzazione di un unico pulsante “Accetta”, con un link che indirizza verso un secondo passaggio per la configurazione, sembra il design più utilizzato, in virtù di un tasso di opt-in che oscilla tra il 70 e il 94%.

Ci accorgiamo che i design più utilizzati non sono necessariamente quelli che meglio rispondono alle esigenze della CNIL, che richiede piuttosto una simmetria di scelta” sottolinea Michael Froment. “I brand, tuttavia, continuano a lavorare per trovare i formati più efficaci, che permettano al contempo di rispettare i criteri imposti dal GDPR e garantire determinate prestazioni a livello di marketing. È un apprendimento continuo, che evolve di pari passo con i comportamenti degli utenti“.

Una maturità ancora disomogenea

Se in linea generale i brand sembrano andare nella direzione giusta, assistiamo per contro a un divario crescente in termini di maturità. Il tasso di opt-in varia in particolare da un settore a un altro, ma anche all’interno di un medesimo settore.

Questo divario di maturità si osserva anche in ambito mobile. Alcuni brand hanno pensato a design ottimizzati per i piccoli schermi, ma la maggior parte non ha ancora lavorato abbastanza sull’ergonomia e sulle procedure di consenso, soprattutto per le applicazioni mobili. Una cosa paradossale, considerato da una parte l’aumento costante del traffico mobile, e dall’altra l’eccellente qualità dei dati raccolti su dispositivi mobili.

La maggior parte delle imprese sta trasformando le proprie procedure di privacy in funzione delle varie raccomandazioni e osservazioni, per ottimizzare il proprio meccanismo di consenso. Altre, invece, sono ancora molto in ritardo, mettendosi dunque in una posizione sempre più delicata nei confronti della CNIL, ma anche e soprattutto nei confronti dei loro clienti e delle associazioni di consumatori” precisa Michael Froment.

Il tasso di consenso come metrica del marketing digitale a tutti gli effetti

In effetti, alle imprese restano solo pochi mesi per mettersi in regola con il GDPR, conformemente alle esigenze formulate dalla CNIL lo scorso gennaio. “Con l’avvicinarsi del termine, i brand che non hanno adottato le misure adeguate rischiano di risultare inadempienti” sottolinea Michael Froment. “Ma non è tanto il timore della sanzione che deve spingere l’organizzazione ad agire, quanto l’impatto potenziale sulle attività e sull’immagine del brand“.

Poiché nelle nostre società digitalizzate sta diventando una questione fondamentale, il consenso merita di essere considerato un elemento permanente nel panorama del marketing digitale. A questo titolo, il tasso di consenso deve diventare una metrica marketing a tutti gli effetti, e beneficiare degli stessi sforzi di ottimizzazione. “Tutte le best practice implementate per migliorare le performance degli altri indicatori marketing, come ad esempio test A/B, ergonomia, UX e così via, devono essere applicate al consenso per migliorare il tasso di opt-in, che è un elemento fondamentale delle strategie marketing attuali e future” conclude Michael Froment.

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